Quando la macchina fotografica diventa una finestra da cui vedere il mondo. Al We Gil di Roma, la mostra dedicata ad Alberto di Lenardo, un fotografo ritrovato.

Alberto di Lenardo, 2 Maggio 1965. Gita a Capri
Alberto di Lenardo, 2 Maggio 1965. Gita a Capri

154 Fotografie per raccontare uno spaccato di vita che è anche uno scorcio del passato italiano, filtrato dall’occhio di un artista sconosciuto fino alla sua morte. Una retrospettiva che stringe l’obbiettivo sul patrimonio artistico-culturale nascosto del nostro paese. Al Wegil di Roma, fino all’8 maggio 2022.

Fotografare è come raccontare con la luce. È un atto di introspezione, un gesto intimo. Dentro gli scatti c’è il nostro personale modo di approcciare alla vita, ci sono le nostre realtà, ci siamo noi. Ma non solo, perché la fotografia è anche un pretesto per viaggiare, documentare e custodire nel tempo piccole parti di mondo.

Ed è proprio questo che colpisce osservando le fotografie esposte al We Gil di Roma, hub culturale della Regione Lazio nel quartiere Trastevere, che ospita la rassegna Alberto di Lenardo. Lo sguardo inedito di un grande fotografo italiano, dedicata ad un artista friulano del secondo Novecento. Un prolifico autodidatta il cui talento è rimasto immeritatamente celato fino alla sua morte, avvenuta nel 2018 all’età di 88 anni a causa di una grave malattia.

L’esposizione inedita, inaugurata agli inizi dello scorso febbraio e visitabile fino all’8 maggio 2022, svela al pubblico la cifra stilistica di un uomo che ha dedicato tutta la sua vita all’arte della fotografia. Un artista dalla carriera amatoriale lunga (durata quasi 60 anni!) e di assoluto valore, che fa di lui una sorta di alter ego maschile di Vivian Maier – la tata- fotografa che divenne famosa a posteriori.

Alberto di Lenardo, classe 1930, è stato un imprenditore prima nel settore import-export, poi in quello vitivinicolo (l’azienda è tutt’ora produttiva). All’età di 18 anni scatta la sua prima fotografia, ereditando dal padre questa grande passione, la stessa che trasmetterà parecchi anni più tardi a Carlotta, sua nipote e curatrice della mostra. Da quel momento rimarrà legato alla sua fedele e inseparabile macchina fotografica, una Pentax che sarebbe diventata un’estensione di sé, per usarla in ogni suo viaggio e momento libero, senza l’ausilio del cavalletto – colpevole quanto le pose di annullare la spontaneità e la bellezza dell’immagine – e alla costante ricerca dell’attimo perfetto, della giusta angolazione, di uno scatto rubato e mai banale.

Tra i soggetti delle sue fotografie: volti di passanti mixati a profili di persone care, luoghi della quotidianità accanto a istanti di viaggi. Immagini parlanti, puri riflessi di momenti, che ci permettono di conoscere una nuova figura, romanticamente malinconica, della fotografia italiana. Il fil rouge è la naturalezza di pose, colori e inquadrature, così come è propria di tutti gli scatti la capacità di trasportare lo spettatore in un passato intriso di emozioni autenticamente vissute. Un mondo per così dire onirico, fatto di avventura e intimità, fissato in un ricordo grazie alla pellicola.

A 16 anni Carlotta scopre l’archivio del nonno, sconfinato e custodito in soffitta, rifugio per i suoi ritiri fotografici e ferroviari (insieme alla fotografia e ai viaggi, anche i treni erano una sua grande passione). Si tratta di un patrimonio di circa 12 mila fotografie, scattate tra il 1948 e i primi anni del 2000, accompagnate da precise didascalie di mano dell’autore. Immagini che riflettono una serenità interiore, e al contempo comunicano sentimenti e percezioni di una generazione che faticava ad esternare a parole. Racconta Carlotta di Lenardo: «Quando mostrava le foto di famiglia agli amici, descrivendo minuziosamente ciò che lui vedeva in quella scena, persino il vento che muoveva una ciocca di capelli, ecco – mi ha detto mia nonna – solo in quei momenti lei si accorgeva di ciò che il marito provava per lei e per i figli».

Espressioni di un linguaggio fotografico semplice, che non significa superficialità, ma desiderio di puntare all’essenza dell’immagine. Predilezione che nella tecnica si traduce in morbidezza e basso contrasto, e che lo ha aiutato a schivare il pericolo della ripetitività e della standardizzazione, della bella foto patinata, ma identica a centinaia di altre che riducono spesso la fotografia a un souvenir.

Una realtà, quella di Alberto di Lenardo, vista attraverso i finestrini delle auto, le lenti di un paio di occhiali, gli oblò degli aerei che sorvolano il Brasile, l’America, l’Egitto, le finestre di un hotel. «Ciò che risalta è l’attenzione maniacale al dettaglio, i giochi di luce e le cornici naturali che il nonno creava con quello che il palcoscenico offriva, fossero spiagge o montagne». Qualunque rettangolo o quadrato utile, insomma, a incorniciare dettagli di vita.

Nel 2006 Di Lenardo inizia a catalogare e a scansionare con meticolosità tutte le diapositive, per poi ingenuamente gettarle via. Con l’avvento di Instagram, Carlotta decide di aprire il profilo grandpa_journey, quando lui era ancora in vita, per spostare l’attenzione da un archivio famigliare a uno di rilevanza storica. A luglio 2020, dopo il vaglio impegnativo dell’archivio, viene pubblicato il volume An Attic Full of Trains per l’editrice londinese Mack (dove lavora Carlotta) e di cui oggi viene esposta per la prima volta a Roma un’accurata selezione di 154 immagini. Un modo diverso per rendere omaggio al lavoro del nonno. L’occasione unica di consegnare un nome nuovo alla storia della fotografia.

Il percorso espositivo è suddiviso in tre sezioni, tra epoche e sguardi a confronto. Si parte da una narrazione privata che mette in luce il legame tra l’estetica dell’uomo e quella della nipote, per poi proseguire con una selezione di scatti autobiografici che comprende alcune immagini d’esordio in bianco e nero, un autoritratto e tre ritratti scattati da Carlotta nel 2013, durante un pranzo di famiglia. «Rappresentano la sua personalità. A primo impatto era un uomo molto austero. Sempre vestito in modo formale, in giacca e camicia, ma in realtà era una persona molto ironica». Per concludere, l’ultima sezione si compone di 9 pareti tematiche che ripropongono alcuni dei soggetti fortemente amati dal fotografo: ritratti di persone immerse nella loro quotidianità, strade vuote, treni in movimento, bar, vedute da ponti, macchine ed aerei, e luna park (nonostante non fosse mai salito su una giostra) perché – diceva – «nulla è più esaltante di un volto felice».

Su alcune diapositive si legge la parola “fine”, un tratto di pennarello con cui Alberto era solito indicare le foto conclusive di un viaggio. Scorre davanti agli occhi la fine su tramonti, albe, barche a vela, cartine geografiche: la fine ripetuta, che diventa ricordo per lasciare spazio a nuovi inizi.

La mostra è promossa dalla Regione Lazio ed è realizzata da LAZIOcrea in collaborazione con Creation s.r.l. Sono previsti anche una serie di incontri con esperti e addetti ai lavori e un fotocontest Alberto di Lenardo – Memoria di Viaggio, dedicato a tutti gli appassionati di fotografia.

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Il nostro luxury hotel si trova in una delle zone più centrali e storiche della Città Eterna, il rione Trevi. Da questa invidiabile posizione sono facilmente raggiungibili a piedi, in auto o con i mezzi pubblici, tutte le principali attrazioni storico-culturali della Capitale.

Oltre che per il suo stile ricercato e il design moderno, la nostra struttura si distingue per la straordinaria accoglienza, e offre agli ospiti tutte le comodità di cui necessitano per sentirsi coccolati come a casa, e anche di più.

Come raggiungere lo spazio We Gil a Roma

Le nostre indicazioni per arrivare al We Gil di Roma

La mostra fotografica Alberto di Lenardo. Lo sguardo inedito di un grande fotografo italiano è visitabile tutti i giorni, dalle ore 10.00 alle ore 19.00, allo spazio We Gil, in Largo Ascianghi, 5 – Trastevere, 00153, Roma, fino all’8 maggio 2022.

Il luogo della mostra dista circa 4km da hotel TriviHo, in via Barberini 50, ed è raggiungibile in meno di 30 minuti con i seguenti mezzi di trasporto pubblico:

Autobus
– 83 – Direzione Partigiani (Fs), da fermata Barberini a fermata Emporio, poi a piedi per circa 7 minuti (500m).
– H – Direzione Dei Capasso, da fermata Nazionale/Torino a fermata Trastevere/Min. Pubblica Istruzione, poi a piedi per circa 2 minuti (200m).
– 170 – Direzione Agricoltura, da fermata Nazionale/Torino a fermata Emporio, poi a piedi per circa 7 minuti (500m).

Per ulteriori informazioni:
Telefono: +39 3346841506
E-mail: info@wegil.it
Website: Wegil – Alberto di Leonardo lo sguardo inedito di un grande italiano